lunedì 4 febbraio 2013


Sono l'ulivo nodoso sul crinale del colle pistoiese.

Il contadino avido mi cura affinché dia frutti.
Sono il compagno di giochi del bambino spensierato.
Sfogo e confidente di un imprenditore sconvolto
che stringe il suo cappio al mio ramo.
Testimone della storia tra due individui fragili
che incidono sul mio corpo il segno delle loro fugaci passioni.

A mia volta sono amante
inesorabile moto luminoso
statica impenetrabile bruma
costante brulichio terrestre
glaciale baluginare di luna.

Sono il letto su cui Sara è violentata
l'olio che piace a Dario
il coltello con cui Vigi scuoia
e il fuoco lenitivo che lo fa sentire a casa.

Sono il foglio su cui l'artista scarabocchia
la fresca dichiarazione di guerra
lettera che incrina relazioni
cartellone che seduce

sono dipendenza ossigeno razzìa nutrimento sottomissione integrità

una morbida ansa sabbiosa
cancellata dall'onda fragrante

Pensi di poter lasciare la tua impronta?


sabato 20 ottobre 2012

Gargantua e Pantagruel di Dino Battaglia, dal romanzo di Francois Rabelais (1985, Ed. Orient Express)





"Dino Battaglia è, fortunatamente per noi, un grande mediatore tra il cielo degli scrittori immortali e la terra dei mortali lettori di fumetti”, così si apre l'introduzione a questo meraviglioso fumetto del 1985.
Battaglia ha "tradotto" racconti di Poe, Maupassant, Lovecraft e tanti altri. Qui si cimenta con un classico della letteratura rinascimentale francese, un libro-mostrum composto da cinque volumi monumentali e di lettura non sempre agevolissima. Ci riesce raccontando solamente alcuni frammenti del racconto ma mantenendo intatto lo spirito del testo originale. 


I disegni raffigurano paesaggi di una Francia favolosa e d'altri tempi. Le figure umane si allungano e accorciano seguendo lo stile grottesco del romanzo d’origine.
Battaglia, col suo tratto pulito e delicato, dettagliato e raffinato, riesce nella scommessa di tradurre in un fumetto agevole e di piacevole lettura un testo altrimenti troppo lontano e complesso per le nostre abitudini fruitive e percettive.


E ne vale veramente la pena, di leggere le avventure di Gargantua e Pantagruel! Queste sono un inno e un incoraggiamento a vivere la vita nella sua completezza, ad abbandonare ogni preoccupazione, ad essere tolleranti e amorevoli verso il prossimo; a viaggiare, perché conoscere i costumi dei popoli diversi aiuta a vivere meglio e a comprendere di più il prossimo. Soprattutto, leggendo le avventure dei due giganti favolosi, si torna ad essere bambini, ad abbandonare ogni preoccupazione logica per farsi cullare da eventi fantastici e personaggi suggestivi.



"L'allegria era al colmo, specie nei vinti. Vivere come i sudditi di Gargantua significava mangiare a crepapelle, bere a garganella, dormire placidamente e lavorare con tutto il comodo. E non è da dire che lavorassero poco e male, perché sapevano che si producevano buon vino erano loro stessi che poi se lo bevevano, se impastavano bene la farina loro stessi poi si mangiavano del buon pane, se le sedie erano ben fatte loro stessi stavano più comodi e così via… Nella stima e la fiducia reciproca. Così si viveva nel bel regno di Utopia."
"Qui siamo contenti se rendiamo gli altri contenti. Tornati a casa, vivete in compagnia, rallegratevi degli amici e donate quanto potete senza pretendere nulla in cambio: questa è la ricetta per vivere felici."

P.S. Ho trovato questo bellissimo fumetto, in più edizioni, nella ricca biblioteca di Fossano, dentro al Castello degli Acaja.

Sul web si trova anche una versione scannerizzata, che però non rende assolutamente l'idea. Buona lettura!

sabato 12 novembre 2011

"Rivoluzionary Road" di Sam Mendes




Questo film, ambientato negli anni 50, è, almeno all'apparenza, un film anti-hollywoodiano, che mostra le pieghe più sgradevoli della vita quotidiana nella borghesia americana. Mendes aveva già trattato temi analoghi, con più senso di humour, in "American beauty".
Qui April coltiva il sogno di Parigi, di una terra lontana dove abbandonare i condizionamenti della società capitalistica occidentale, quella nella quale è immersa. 



Ma veramente cambiare città o nazione, lasciare il proprio lavoro, permette di essere liberi? O non è forse la libertà uno stato da realizzare a prescindere dalle condizioni esterne? Libertà dei propri condizionamenti, dall'illusione di essere quel corpo e quella mente che reagiscono agli stimoli esterni secondo la propria programmazione.

È proprio nel suo fatalismo e nell'assenza di una prospettiva più ampia che tale film risulta, secondo me, limitato e limitante. Provate a riguardarvi Todd Hayes in "Lontano dal paradiso" o, soprattutto, Terrence Malick in "The tree of life": il loro sguardo sullo stesso periodo storico ha ben altro respiro.

"Corpo Celeste" di Alice Rohrwacher




Il reggino e, più in generale, l'Italia, attraverso la prospettiva di una bambina tredicenne, il corpo che cambia, l'adolescenza alle porte, la cresima imminente. I primi interrogativi sul senso delle cose sono anche i più puri e disincantati: il film mette in scena, attraverso scene grottesche e un taglio neorealistico, una visione netta delle grosse contraddizioni tra spirito evangelico e Chiesa nel reggino (dove collusioni tra chiesa, politica, mafia si sprecano).




"Gesù è matto, arrabbiato, furioso"

Il vero miracolo, ci dice il regista alla fine, e che Marta, la giovane protagonista, sia ancora viva dopo quanto ha visto, capito e denunciato; viva come la piccola biscia rinvenuta sul lungomare ridotto a discarica, dove giovani locali vivono di stenti e furtarelli.

domenica 6 novembre 2011

"Cristo si è fermato ad Eboli" di Francesco Rosi




L'amaro reportage di Carlo levi nella "seconda Italia": quella contadina, quella del Sud, quella che preferisce i briganti (e i mafiosi) al padrone ricco e settentrionale che non li comprende e che si relaziona a loro solo per tassarli. 




Chiunque voglia capire meglio i diversi aspetti e le diverse anime del nostro paese, nonché i problemi governativi che ci portiamo dietro da decenni, farebbe bene a vedere questo film. L'opera è anche un bello scorcio del periodo tra le due guerre (1935): il contesto è quello della Roma mussoliniana e delle sue imprese in Abissinia attraverso lo sguardo "altro" di un paesino contadino del Sud, con i suoi rituali e i suoi personaggi (podestà, prete, donna peccaminosa, medico,…)

venerdì 4 novembre 2011

"A dangerous method" di Cronemberg


Amo Jung, il medico che ebbe il coraggio di allargare i territori della psicanalisi all'alchimia e alla religione, e amo Cronemberg, un regista profondamente innamorato dell'uomo e delle sue contraddizioni.


Seppur non originale come altri titoli della sua filmografia, "A dangerous method" ha più di un merito: intanto racconta le psicologie e l'intreccio esistenziale di tre figure fondamentali per la società occidentale attuale con una fedeltà biografica e una profondità di spirito inedite nel cinema. Inoltre descrive l'alba di un metodo (o meglio più metodi) di cura delle malattie psicologiche altrettanto importante per la nostra cultura contemporanea. Un metodo, quello relativo alla presa di coscienza del materiale non conscio, "pericoloso" perché espone i soggetti alle mareggiate dell'esistenza.


Ma forse il merito più evidente del film è la ricostruzione storica. È una ricostruzione che non si limita, come spesso capita nel cinema, alle scenografie e ai costumi. Cronemberg fissa sulla pellicola la psicologia del tempo, vincolata prima di tutto attraverso il linguaggio dell'epoca. Agli albori del novecento la fotografia inizia la propria adolescenza, il cinema non è che un neonato, radio, televisione e informatica sono strumenti fantascientifici. E quanto tale aspetto influisce sui rapporti tra le persone e sul modo di vedere il mondo? Moltissimo, sembra dirci Cronemberg. Non a caso i titoli di testa e l'intera narrazione del film sono punteggiati dal dialogo epistolare tra i protagonisti. Quella che molti hanno descritto come eccessiva "verbosità" è un aspetto centrale dell'opera: i turbamenti, le immagini oniriche e i conflitti tra le persone non passano attraverso le immagini filmiche sconvolgenti a cui un certo Cronemberg ci aveva abituato, ma attraverso il linguaggio fondamentale dell'epoca, la parola scritta.

giovedì 28 aprile 2011

Itaca
















"La gente libera, non gli schiavi, formano una comunità"  
Antony De Mello