“ […] perché non basta partire se non si è disposti ad abbandonare il passato […]”
Hai deciso di partire per il sud-est asiatico, solo.
Un viaggio di tre mesi, durante l’autunno, da cui speri di ricavare buone foto e penetranti considerazioni.
Nel frattempo hai ancora un bel po’ di tempo davanti a te e decidi di affacciarti all’est europeo attraverso un viaggio in Croazia: più breve, più economico, più rilassante, immagini.
E’ la buona occasione per provare a muoverti in motocicletta: possiedi un’enduro 350, perfetto per le esplorazioni premortane, discreto su strada.
E’ anche l’occasione per testare la tanto desiderata e tanto paventata avventura da solo.
E per capire qualcosa del mondo Jugoslavo, ti dici.
Leggi articoli e guide, prepari i bagagli, ingrassi la moto, saluti gli amici: sei pronto ad andare.
I - Il sogno prima della partenza
Ti trovi in una sorta di monastero che è anche un liceo. Sei in un'aula scolastica, per l'appunto, con altri ragazzi. Ti senti straordinariamente a tuo agio. E' il cambio d'ora: l'insegnante che è appena andato via vi ha fatto ascoltare brani di musica anni '70. Approfitti del momento per andare da un tuo compagno di classe: pieno di passione, gli parli della straodinaria musica appena ascoltata. Gli altri, basiti, ti fissano: nessuno sembra altrettanto interessato alla materia, i più sono annoiati.
Decidi di esplorare la zona ed esci di soppiatto dall'aula. Sei curioso di andare in un posto li a fianco: si tratta di un insieme di aule tra loro collegate; il pavimento è assente, non fosse per le sottili lingue di mattonelle che seguono le pareti. Questi stretti passaggi sono aperti all'immensità del paesaggio e sospesi su montagne altissime, gole mozzafiato, natura incontaminata. Tu cammini in tutta serenità tra una stanza e l'altra, godendoti la meravigliosa sensazione di ariosità e di naturalezza dovuta all'apertura. Poi due insegnanti-monaci ti raggiungono e ti dicono, con un sorriso, che andrai via dal monastero.
Li saluti con gioia, senza chiederti perché e percome. Sai che è così: parti.
II - Martedì 9 agosto 2005
Te la prendi comoda e lasci Cuneo alle 10.30.
Ad Asti ti accorgi di avere scordato il tappetino. Ti premeva fuggire dalle moine e dalle raccomandazioni della nonna, cazzo!
A Piacenza accusi forti disturbi allo stomaco, ti rendi conto che stai viaggiando per la prima volta da solo, sei vestito da coglione, non conoscerai nessuno.
A Cremona vorresti consumare il tuo panino nella bella piazza centrale ma quando scopri che è un'isola pedonale ti limiti a circumnavigarla con la moto. Pranzi sul ciglio della statale, la masticazione ritmata dai passaggi dei camion, gli occhi fissi sulla cartina.
Tra Mantova e Padova ti perdi in strani giri mentali: l'effettivo risparmio tra il benzinaio che mette il carburante a 1,223 al litro e quello che lo piazza a 1,254; le magagne, l'insoddisfazione, lo spaesamento tra le tante coppie che conosci: mamma e papà, Tia e Ale, Alessia e Francesco, Ale e Monica,... Come si fa un reportage? Ce la fai ad arrivare a Trieste? Che ore saranno? Rischi dell'incidente un paio di volte, non senti più la parte sinistra del corpo, ti sembra di tornare sugli stessi posti.
A Venezia imbocchi l'autostrada e sfrecci ai 110 mentre il sole ti s'infuoca alle spalle e tu rischi il congelamento per aria gelida.
A Trieste sei un tutt'uno con la moto, quasi morto. Il porto è un bianco abbraccio all'intensità del tramonto e tu soffri e godi al contempo.
A Muggia, località Lazzaretto, 250 metri dal confine con la Slovenia, trovi da campeggiare. È notte.
Il campeggio è un mortorio; non fosse per le grida dei ragazzetti e i fari puntati dalle molo potresti goderti il riflusso del mare sugli scogli, la sconvolgente stellata sulla testa.
Già, domani è San Lorenzo.
Le persone che hai incontrato parlano uno strano misto di dialetti. Quello veneto è evidente, ma ci sono una durezza e degli influssi non italiani.
Vai a dormire con lo stomaco quasi vuoto, senza leggere, guardare, ascoltare nulla e nessuno: non ti capitava da tempo.
Ecco cosa succede! Senza un pubblico a cui rivolgerti, una compagna da impressionare, un amico da cui avere conferme tu ti abbruttisci! Il tuo cervello ciarla di continuo per sfuggire alla solitudine e tu gli dai corda!
Da due giorni non ti gratti, non ti masturbi, non fumi; e quanto ti manca tutto ciò!
Eri partito in "vacanza" proprio per divertirti e invece, complice la solitudine, ha ritrovato te stesso. Trovi che sia tutto inappagante. Hai cominciato a detestare tutti i gruppi, le coppiette, le famigliole, le carovane di "amici". Rimandi a memoria le scorse vacanze e ti rendi conto di quanto tempo - tanto tempo! - andasse nella condivisione col compagno di turno.
Oggi hai svalicato. L'Istria ha terra rosso sangue, nuvole maestose sospese oltre le colline, rocce compatte sincere, verde a strafottere. Prosegui piano sul tuo destriero, cerchi di acchiappare ogni segnale, patisci il vento prepotente e le strade strette lisce. Porec e Rovinji , dove trascorrerai la serata, sono deliziose, intime, ben conservate, anche se il crogiuolo di influssi e di parlate ti impedisce di capire come devi esprimerti. Ad un certo punto ti ritrovi a biascicare, tra te e te, frasi in spagnolo!
Hai provato ad entrare in un campeggio naturista ma ti hanno risposto "solo famiglie". Al "Polar", invece, sei tu che scegli il posto: ti piazzi nell'area FKK, anche se non potresti, e bello nudo ti mangi un melone sulle rocce del bagnasciuga. La cena, invece, è squallida: tagli di formaggio locale, lo accompagni con pane ai cereali, ma il boccone è indigesto perché manca la convivialità.
La sera passeggi in Rovinji, una straordinaria cittadina arroccata su una penisola ovoidale. Strade strette e acciottolate, ricche di passaggi e scorciatoie, ti conducono nel punto più alto, dove sorge la cattedrale dedicata ad una martire cristiana. Da lì scendi attraverso una viuzza ricca di vita, che ospita atelier e gallerie, esposizioni di arte e artigianato locale. Ancora oltre, nella piazza centrale del luogo, guardi uno spettacolo di musica e danza spagnola. Un prodigioso chitarrista ritmico accompagna due cantanti estremamente espressivi: viso e voce si piegano al sentimento amoroso che infiamma loro i cuori. Paradossalmente, quell'espressività esasperata ti ricorda certe rappresentazioni di marionette giapponesi che vedesti in un film di Kitano. Ma il ritmo della chitarra e dei battiti di mani è inequivocabilmente spagnolo: attraversa la spina dorsale, trasforma corpo e spirito, sospende il pensiero. E per un attimo non sei più laggiù: sei qui!
Piove sulla tenda. Dentro è già tutto umido. Del resto oggi, di pioggia, né hai presa veramente un fottio!
Com'è, allora, che il morale è alto?
È cominciato tutto quando ti hanno presentato il conto per la notte di ieri, quella merdosa notte trascorsa nella capannuccia sul fazzoletto di terra. 154 Kuna! 22 euro!! Ma siamo impazziti? Di colpo realizzi il contesto in cui sei inserito: turismo di massa in alta stagione. Ingabbiato con famigliole che evadono il tran tran quotidiano dell'anno attraverso due settimane di mare e ristorante.
Recuperi lo spirito, la reazione dei primi viaggi, quella che chi condusse a compiere i primi furtarelli e che ti spronò al campeggio selvaggio.
Diversamente, per le tue magre finanze, è proibitivo viaggiare in Europa !
In questo caso le cose sono ancora diverse, migliori: hai una moto, che diavolo, e sei solo: scegliti la vita che vuoi!
Esaltato, rampante, fiero, attraversi l'entroterra istriano. Superi paesi contadini il cui solo rumore nell'aria è quello del motore su cui stai seduto.
Mangi a Pazin, la capitale, davanti ad una foiba impressionante.
Nuvole minacciose gravitano da stamane nel cielo ingombro: sosti, fissi il nemico e davanti allo sguardo incantato di un gruppo di bimbi di campagna, ti infili i pantaloni antipioggia. Entri nell’acquazzone e l'impatto è potente: sei costretto a sostare per un'oretta sotto la tettoia di una chiesa. Il cielo è piombo fuso, gronda acqua. Lì vicino c'è una pasticceria. È chiusa ma la signora del bancone, che non conosce l'italiano, fa uno strappo alla regola: ti apre. Probabilmente si intenerisce nel vederti fradicio e ti regala una brioche in più.
Le nuvole si diradano, torna il paesaggio circostante. Quasi senza volerlo sali in cima al monte Urec, alle spalle di Opanjia. Entri in una nuvola, non c'è altra spiegazione, perché l'umidità va a cento, la nebbia si fa fittissima, la strada fradicia.
Stai scendendo ora, rinfrescato da mille goccioline. Ad una curva, bassa la velocità, scivoli per terra ed è divertente. E' sera quando entri in campeggio, sette chilometri a sud di Opanjia. Sei zuppo dolorante gioioso. Questo campeggio è diverso: meno caro, più umano, gode tanto del paesaggio marittimo quanto di quello montano. Raccolto in una minuscola baia con spiaggia ciottolata, ti regala un tramonto dalle rosee gradazioni e la compagnia di un anziano pescatore, sul piccolo molo.
La sera passeggi, solo, nell'intimo, lungo, raffinato lungomare della zona. Ti lasci alle spalle il rumore dei casinò e dei gelatai, ti muovi silenzioso accanto alla risacca marina. Nessuno ti nota.
Piove, cazzo, anche stamane piove! Te ne stai sdraiato in tenda meditando il da farsi. Torneresti a casa, diretto, se non avessi ancora 500 Kuna nel portafoglio. Benedetta parsimonia! ti dirai col senno di poi. Non te ne sei accorto, ieri sera, ma hai piazzato la tenda proprio affianco di quella di una coppia d'italiani. Stanotte, nel cuor della notte, al primo scroscio d'acqua, la ragazza si è svegliata, ha avvertito il ragazzo che stava piovendo e che un asciugamano andava ritirato. Di fronte alla sua inazione lei è uscita e ha fatto il da farsi. Tornata in tenda ha preso a fargli il culo per l'"insensibilità" dimostrata. E tu, spettatore involontario di questo "dramma" sentimentale, schifato dai rapporti di mutua dipendenza, non hai potuto far altro che infilarti i tappi nelle orecchie, girarti dall'altra parte, lasciar sbollire la rabbia.
Alle 14, ora del check out dal campeggio, cammini ancora infreddolito dalla tenda al mare, dalla tenda al panificio, dalla tenda alla reception: restare o partire? È tutto zuppo d'acqua. E poi, dove andare? Ne hai abbastanza di coppiette e famigliole. Dove andare?
Di colpo un raggio di sole filtrato dalle nuvole ti lancia il segnale che aspettavi: sgomberi tutto, infili il casco, i capi antipioggia e sgommi davanti alla reception.
Sì, il sole si fa largo tra le nubi!
Percorri quasi 150 chilometri di costa inondata di luce, pieno di dubbi sulla meta: attraversi baie invitanti e paesaggi rocciosi, raffiche di vento e isole vicine. A Jablanar sali su un traghetto. Lo senti, mentre navighi, che stai andando nel posto giusto: l'isola di Rab!
Meraviglia! Quest'isola, che ha la forma del membro maschile, non soffre dei vortici depressionari che minacciano la costa istriana. Si respira aria di libertà e le mille insenature della costa, mascherate nella fitta vegetazione, lasciano intuire posti incantevoli ed appartati.
Campeggi su un promontorio a picco sul mare, tra le tende di tanti giovani. La sera ne conoscerai alcuni. Tre ragazze neozelandesi, in particolare: Vanessa, Carol e Stacy. Vanessa fa girare le catene, dice che è originario dei Maori; si assenta spesso, tira su col naso, è esaltata: forse pippa cocaina. Anche Carol si mantiene su di giri col bere, come se fuggisse; è bionda, formosa e, forse, interessata. Stacy è la più tranquilla invece, quella con cui ti confronti più amabilmente.
Rab è la città più incredibile del viaggio: borgo medievale sviluppatosi su una stretta penisola, ha tre vie - la alta, la media e la bassa - che la percorrono. Le case in pietra nascondono un intrico di strade lunghe antiche. Alle spalle del paese ha inizio un bosco ombroso e secolare, ricco di punti panoramici, passaggi verso il mare, angoli nascosti. Un bosco nel quale ti puoi perdere. Ti ci perdi! Hai trovato la magia che cercarvi!
Di colpo ti risvegli: il sole ti punta dritto in faccia. La peste descritta da Camus, il vociare dei superficiali turisti, le formiche su di te e sul tuo cibo. Ti sposti.
Quella donna ha lo sguardo di Crudelia De Mon, ti fissa e poi torna a torturare un insetto sul terreno.
Cicale ovunque, accompagnate dai rombi lontani delle imbarcazioni.
Eccoci! Sei ancora sull'isola di Rab e le cose sono cambiate non poco: sembra che tu non riesca a startene fermo. Questa mattina hai esplorato in lungo e in largo la zona ad occidente. Non hai trovato ciò che cercarvi, spiagge dove i nudisti conducono vita appartata e nomadile, ma nei pressi di Suha Ponta incappi, dopo un lungo percorso a piedi, in una spiaggia niente male. Certo, è impossibile scampare alle orde di turisti, ma ti ritieni comunque soddisfatto: fai la spesa, sbaracchi la tenda al campeggio, lasci i bagagli alle neozelandesi e bello leggero ti rechi sul posto.
Nessun nudista, in verità, in barba ai cartelli turistici che spaparazzano "Spiaggia FKK". In compenso, tanti cazzeggiatori.
Fai il bagno tra il corallo, i ricci, i branchi di pesciolini disposti a cerchi; il tuo corpo guizzante incontra i riflessi cristallini delle onde, soffi bolle dalle narici, sei felice.
Poi ti sfondi di pane ai cereali, pomodoro e salame locale. Uno yogurt, per finire, e già gli insetti della zona ti sono addosso. Pennichella...
La sera sei pervaso, anche se non lo sai, da un dannato senso di colpa perché stai usufruendo del campeggio senza aver pagato.
Mentre aspetti le neozelandesi vai da alcuni ragazzi tedeschi che hai conosciuto ieri e che parlano un inglese stentato. Il cazzeggio tedesco, forse, è più rovinoso di quello italiano: è tutto il pomeriggio che i biondi vichinghi stanno seduti, in fila, a bere birra e a fumare. Orgogliosi, ti mostrano la loro collezione di lattine. Per il resto, depressione shopenahueriana.
Poi arrivano le tre ragazze, che hanno trascorso una bellissima giornata in kayak. Di colpo realizzi che tutto ciò che hai fatto stamattina lo hai fatto in funzione loro, credendo di proporgli chissà quale avventura. Sono distanti e lo patisci: è ovvio che per te loro rappresentano una salvezza dalla rovinosa pensierosa solitudine.
Ti mostrano come ci si tira su in New Zeland: attraversano cinque locali, bevono, parlano, gridano, ballicchiano e si spostano al successivo. Al quinto tu hai già rinunciato a bere da tempo e loro sono lanciatissime in discorsi etilici autoreferenziali. Carole è molto scossa, però, molto dispiaciuta che non ci si riesca ad armonizzare, stasera. Il suo sottolineare la situazione, il suo definirla brutta, ti taglia le gambe, ti blocca, ti isola: ti senti un coglione!
Poco dopo conoscerete dei ragazzi croati e avrete modo di avvertire, nei loro visi, la straordinaria multietnicità della popolazione; nell'armonia di gruppo, la loro apertura. Berrete assieme uno shute, alcolico intenso bruciante. Te ne andrai senza salutare quasi nessuno, nel momento in cui il pensiero dell'agognata, odiata solitudine si farà vivo con forza. Dormirai qualche ora in campeggio, temendo di essere scoperto, appoggiato al dorso di un promontorio, proprio dietro una tenda. All'alba ti sveglierai, ti laverai, lascerai il tuo indirizzo mail, come promesso, e fuggirai dall'isola di Rab.
Ma dove fuggire? Come evitare le masse di turisti e ritrovare, foss'anche solo per un attimo, te stesso? Hai letto di un posto, sulla guida, il parco naturale di Risnjak, che forse potrebbe fare caso tuo: è un parco enorme, ricco di flora e di fauna, semideserto in estate. Sarebbe un buon modo per concludere il viaggio; basterebbe una piccola deviazione lungo la strada del ritorno.
Ti inerpichi su per le montagne: da lassù osservi la costa, le lunghe code di auto, respiri la brezza alpina. Si, Risnjak è perfetto: sei stravolto dalla giornata precedente, hai bisogno di metterti con le spalle al muro: costringerti a fare NULLA.
Più facile a dirsi che a farsi: Risnjak è un parco veramente sterminato. Ovviamente non si può campeggiare, ma la ragazza delle informazioni ti dice che sta alla responsabilità di ognuno e questo per te equivale quasi ad un sì.
Quasi, già, perché il timore di farsi beccare e tale per cui decidi di inoltrarti in un sentiero lunghissimo: lasci la moto alla sbarra di inizio cammino, carichi lo zainone di tenda, cibo, sacco a pelo, macchina fotografica. Parti.
Attraversi una pineta fittissima, silente, secolare; le minacciose nuvolaglie che prima ti preoccupavano svaniscono all'orizzonte; fatichi con gioia. Passi davanti ad un casolare in legno, chiuso, apparentemente contrario allo spirito del parco: sulla facciata fanno mostra di sé la testa di un cinghiale, un'aquila e una volpe impagliate (foto 1). Da brividi.
Cammini qualcosa come quattro ore, immerso in un silenzio vastissimo, spezzato solo dai fragili rumori naturali. Ma l’inquietudine non cessa: potresti incontrare qualcuno. Non temi i pericoli della lontananza fisica da chiunque, non temi l'imprevedibilità della natura. Hai già un piano: svegliarti all'alba, scendere a Fiume, pranzare in un ristorantino dove servono pesce e metterti in moto verso casa. Sono le otto di sera quando vai a dormire (foto 2). La camminata ti ha stancato e mal sopporti la sottile ansia della situazione in cui ti trovi: vuoi dormirci su e partire: tornare a casa.
E' una sensazione molto bella quella che ti porti dentro dal sogno quando il primo scroscio d'acqua ti sveglia. Riprendi coscienza del singolare contesto in cui sei immerso e ti stupisci della pioggia, viste le condizioni di bel tempo con cui ti sei addormentato. Sarà una nuvola passeggera! Per fortuna hai messo il telo impermeabile sulla tenda, sebbene tu non l'abbia fissato; sarà una nuvola passeggera, ti ripeti, torna a dormire!
Cinque minuti dopo l'intensità della pioggia è aumentata, cominci ad avvertire umidità sul " pavimento", non hai lo stuoino. In fondo, forse, è meglio uscire e piantare tutti i paletti necessari.
Sei fuori, ora, e subito realizzi la gravità della situazione: la foschia ha ammantato la foresta di un aspetto sinistro, il cielo è uno straccio livido che gronda tormenta. Hai un ombrellino con te, l'ombrellino che ti regalò tua nonna: fissi i picchetti e torni all'asciutto.
Provi a dormire ma nell'arco di dieci minuti il tuo ginocchio è immerso nell'acqua. Accendi la torcia, guardi le pareti della tenda. L'acqua filtrante forma volti bizzarri che ti guardano impazziti: volti che piangono. Accendi il cellulare: vuoi sapere che ore sono: le 23.20! Sono passate poco più di tre ore da quando ti addormentasti! Se non cessa di piovere tra un po' sarai a mollo!
Lampi veloci illuminano a tutto giorno il cantuccio. Tuoni fragorosi non durano meno di venti respiri: sembrano generati dal vertice della montagna e spinti verso i valloni da un'entità demoniaca.
Hai paura e non sai che fare!
La tua mente pensa a Brero, che ti ritiene una persona intelligente , alla Restelli, che è una donna forte, e a Bob Marley: canticchi isterico "Saying don't worry, about the things! Every little things' gonna be all right!...".
Cominci a credere di agire condotto da una pulsione inconscia di morte.
La barca affonda: il terreno è ormai zuppo. Vattene a casa, ti dici, senza riflettere sul fatto che stia a 900 chilometri da lì: vattene lontano!
Benedetto ombrellino della nonna! Benedetta torcetta! Sono queste le tue uniche armi contro l'immensità dell'acquazzone! Continui a cantare Bob, mentre smonti la casetta nella furia della tempesta. Devi agire con freddezza!
La borsa della tenda, gonfia, è un boiler d'acqua: la reggi con la sinistra. Lo zaino è pesante sulle tue spalle umide. La torcia che porti in bocca non può illuminare oltre la foschia che ti attornia: la devi puntare a terra, un metro davanti a te. Indossi i vestiti più pesanti che hai, l'ombrellino che tieni nella mano destra almeno ti copre il capo! Così cammini, in discesa, attraverso torrenti improvvisati sul sentiero, per un tempo imprecisato.
Sei minuscolo, in quell'ira diddio!
Dopo un po' che scendi intuisci che la guida in quelle condizioni potrebbe essere la tua morte.Ti ricordi del casolare: sebbene sia chiuso ha una tettoia! Ma il casolare è già passato, sei alla sbarra del moto. Il casco che ci avevi attaccato è un vaso colmo d'acqua, l'idea di ficcatelo in testa ti ricorda la broncopolmonite che ti prese a quattro anni.
Ti infili giaccone e pantaloni antipioggia; lei continua scendere senza pietà. La tua terza arma contro la forza devastante degli elementi naturali è il bauletto, che per fortuna è impermeabile: ci lasci la macchina fotografica, i vestiti e ciò che non ti serve. Riprendi il tuo fardello, zaino e tenda, e torni su, verso il rifugio. Cammini un'altra enormità di tempo, controcorrente rispetto allo scorrere del sentiero torrente.
Di colpo, appena al di là del fascio di luce che reggi in bocca, intravedi le fibie fluorescenti di un paio di pantaloni: qualcuno cammina verso di te. Ti blocchi, percorso da un brivido che genera scariche sul tuo capo madido. E’ sotto il fascio ora: non è un uomo, ma due occhi d’animale ti fissano decisi. Tu sei una statua i cui soli movimenti sono quelli della mandibola impazzita che batte coi denti sulla torcia: fiumi di bava colano inarrestabili dagli angoli delle labbra. Con uno scatto rapido l’animale si rituffa nel buio a fianco della strada.
Respiri profondamente, il capo reclino sotto i violenti scrosci. Un attimo di spaesamento, la marcia per la sopravvivenza continua.
Arrivi alla baita. La tettoia è stretta, ma tanto basta. Ti siedi sotto la testa ringhiante delle cinghiale impagliato: riprendi fiato. Continui a pensare al da farsi: vorresti dormire, così seduto, ma intorno a te, davanti a te, si agita il caos. Inoltre, sudato come sei, fradicio, spazzato dal vento, sei tutto un brivido. Decidi di spegnere la torcia per non sprecare batterie: la notte è ancora lunga. Ma quando lo fai ogni rumore della massa indistinta che ti si agita attorno è amplificato. Strani scricchiolii provengono dalla baita alle tue spalle. Vorresti aprirla ma un grosso lucchetto ne serra l'entrata.
Pensi , pensi, pensi. E batti i denti.
Ad un certo punto realizzi che la pioggia è ormai rada, a fare rumore è solo l'ululare del vento e gli sciacquii degli alberi zuppi. Ti fai coraggio e torni alla moto.
Sì, ha quasi smesso di piovere, ma tu sei fradicio ed è notte fonda. Che fare? Vuoi fare qualcosa, vuoi andare a casa! Indossi tutto ciò che di asciutto t'è rimasto, a cipolla, di ficchi un asciugamano in testa, a mo' di bandana, e su di quello il casco. Così, come il più devastato dei barboni, sali sulla splendida moto, che non accusa colpi, e parti nel buio alla volta di Fiume.
L'aria è terribilmente fredda: nel rimbombo del casco senti solo, distinto, il ticchettio dei tuoi denti umidi. Vai pian pianino, infatti. Per decine di chilometri non c'è nessuno. Dalla statale, scendendo verso il mare, scorgi i lampi del grosso temporale in cui eri immerso: sembra dirigersi proprio verso Fiume.
Per fortuna le grandi città non dormono mai e trovi un benzinaio aperto che mette musica appalla.
Per fortuna davanti alla stazione degli autobus c'è movimento, giovani in partenza, homeless come te. Scendi dalla moto: rigido, stordito, spaesato. Compri un trancio di pizza senza dire una parola, ti godi i familiari, riposanti rumori della città notturna: anche qui ha piovuto, le vie sono tutto un riflesso di luci.
Riprendi la strada verso il confine; l'aria è fatta di lamine ghiacciate che ti trapassano i vestiti: friggono, a contatto con la pelle bagnata!
Vai pian pianino! ti imponi.
Ti fermi, cerchi tutti i vestiti asciutti che sono rimasti e ti cambi un'altra volta, rapido.
Inutile, il freddo non cessa.
Al confine fai benzina, cambi il denaro rimasto, compri una bottiglia d'acqua ed entri in Slovenia.
Albeggia, finalmente, ma l'intera nazione sembra coperta da un'immensa, minacciosa nube grigia. Solo laggiù, al confine con l'Italia, la nube sembra aver termine.
Sei pazzo, perso, fantastichi.
Più di una volta, malgrado il freddo, rischi di addormentarti in moto. Resisti, aspetti il sole per fermarti. Poco dopo Trieste, finalmente, la bellissima, calda stella fa capolino da dietro le nubi (foto 3). Ti butti nel prato davanti ad un supermarket; non ti togli neppure il casco. Mandi un sms a tua sorella, avverti che stasera, se Dio vuole, sarai a casa. Dormi.
Dopo mezz'ora suona la sveglia: hai 700 chilometri davanti a te. Li fai attraversando l'aria più limpida che tu abbia mai visto. E' Ferragosto, per fortuna, le auto in giro sono poche. Guidi benissimo, sfrecci, infrangi i limiti di velocità, superi ovunque, ma sei prudente. Calcoli, attento.
Ti fai, in dieci ore, tutta la pianura padana. Le nuvole sono impareggiabili compagne di viaggio: bianche, frastagliate, soffici, deformanti, molteplici, imprevedibili, giocano e scherzano fra di loro.
Ti fermi poco e mal volentieri, giusto per bere un po' d'acqua, pisciare e sgranchire le gambe distrutte, anchilosate, inchiodate.
Dubiti che torneranno come prima.
La benzina italiana fa bene al motore della moto, che sembra consumare meno e sfrecciare di più.
Nei dintorni di Bra, ad una rotonda, dopo quattordici ore di guida pressoché costante, una frenata inchioda le ruote e la moto scivola per cinque metri verso una cancellata. Ti fermi prima, rimani in sella, guardi sereno le montagne vicine, nitide, irreali. Una famiglia in auto, che ha visto la scena, ti chiede se stai bene e solo attraverso i loro sguardi preoccupati capisci quanto hai rischiato.
Nell'ebbrezza della velocità saluti tutti gli altri motociclisti, fai gesti con le mani e coi piedi.
A Cuneo le montagne, inondate dalla luce obliqua del tramonto, non sono mai state tanto vicine e ben esposte: sei a casa.