Il 13 aprile 2008, piena primavera, vigilia delle elezioni primarie, scrivevo:
Le strade, nei giorni variabili d'inizio primavera, sono un proliferare di volti e nomi, maschere mal illuminate che ammiccano dai larghi cartelloni sulle strade, sui muri, sugli alberi, sui cassonetti, sulla via, sulla buca della posta. La marcia elettro-jazzy degli Autechre, nelle mie orecchie, è il sound sotterraneo della metropoli in questi giorni di folle rincorsa al potere. Emeriti sconosciuti cercano il consenso con un sorriso, una postura, un vestito, un taglio di capelli, la luce tra i capelli. L'incedere regolare della bici su cui viaggio dà loro tempo e visibilità, ma non sono credibili, nè efficaci, questi chiassosi tentativi d'invasione.
Il mio cuore si muove su altre dimensioni.
Mi mette in contatto con Davide, il bimbo cerebroleso che ho la fortuna d'incontrare oggi. Per lui questo è il tempo delle grandi scoperte, il disvelamento delle possibilità della mano: con la mano spinge il pallone al fratello, impasta la pizza per i compagni di classe, si tocca le orecchie quando ha voglia di musica. La mano è uno strumento difficile ma efficace, saperla usare è impagabile. (Davidino scoppia a ridere per un suono buffo, urla di gioia per i complimenti, si morde violento il labbro se qualcosa non piace. Davidino abbraccia quando ne sente il bisogno.)
Per giorni interi, a ondate, ha piovuto sabbia.
Qualcuno dice che arrivi dal deserto e immagino il viaggio dei cumulinembi sopra i villaggi cotti dal sole, attraverso il Mediterraneo, vicino ai gommoni degli espatriati nordafricani, sulle coste sicule, fino a me.
Da giorni il corpo non funziona: dolori alle ossa, bonchi seccati, testa nel muco. Mi sveglio con le croste verdastre alle ciglia, fossili di lagrime. Mi sveglio da sogni in cui scopro, notte dopo notte, il mistero e la vastità, la sporcizia e la creatività della Mia Casa. Esploro una soffitta dove i muschi e gli insetti proliferano e la natura è espressione inesauribile di vita. Scopro con disappunto che le stanze sono in completo disordine, sozze d'incuria e d'eventi mal digeriti. M'incanto davanti alle pareti vaste e incoerenti, dove strani, infantili disegni hanno il sapore, il senso dei geroglifici. Avverto il suono - note d'altri tempi - delle stanze a fianco, saloni demodè con stucchi, camerieri gentili decrepiti, donnone imbellettate su divani velluto porpora. Guardo la strada oltre la finestra: buia, abbandonata, battuta da un vento che sembra parlare. Scorgo in alto il riflesso opaco di una dimora misteriosa e avvizzita, come lo possono essere certi alberi secolari che sopravvivono spontaneamente malgrado tutto: una casa in balia delle intemperie che riconosco essere mia, la Mia Casa. Diversa da come la vorrei ma tuttavia MIA: familiare e aliena, ignota e significativa, esile e perenne assieme.
Oggi, 17 ottobre 2009, pieno autunno, una serie di coincidenze mi riportano a quei giorni, e scrivo:
Il freddo si è abbattuto sulla città solare senza preavviso, mezzi termini, gradazioni. Ieri giravo in casa nudo, sorseggiavo birre gelide, dichiaravo guerra alle zanzare tigre. Oggi mi stringo nel maglione di lana, sorseggio tè bollente, immergo il capo congestionato in suffimigi d'eucalipto.
Nella casa è entrato un mondo: la grande rete mondiale, il World Wide Web, mi permette di seguire in tempo reale i sussulti emotivi di persone sparse nel mondo, condividere passioni e interessi, osservare la città e le cose senza la presenza fisica. Il corpo è stato dimenticato per settimane intere: ho preferito muovermi leggero nel cyberspazio, con le spalle contratte su monitor e tastiera, piuttosto che tornare a me stesso attraverso stiramenti e lunghi respiri sul comodo tappetino, vedere un amico, camminare nei parchi.
In questi giorni la novità è anche un'altra: convivo con una ragazza animata da una semplice e autentica voglia di vivere e di esprimersi. Costei ama l'inafferrabile creatività della psiche. Si crea un fecondo equilibrio tra la mia tollerante disciplina casalinga e il suo rispettoso disordine. Eppure oscure paure si riaffacciano alla coscienza attraverso il mondo onirico...
Il sogno di stanotte visualizza la mia casa come un ampio loft bianco, con larghe vetrate affacciate sul buio della notte, una casa che sembra un museo contemporaneo. I vasti spazi sono separati da fragili muri di cartongesso e ovunque sono letti pronti ad ospitare gente, talmente tanta gente che non so chi abiti la casa. Una parte del pavimento è vetrata, mi permette di osservare, senza essere notato, le persone al piano di sotto. Questa penetrabilità, che non è vulnerabilità, mi mette un po' d'ansia. Quando l'ansia si fa troppa impedisco a un bambino, sfuggito alla madre, di entrare in casa. Quel bambino potrei essere io! Adesso osservo amorevolmente e rimbocco le coperte al bambino che sono. Ma del bambino, accoccolato sul cuscino bianco di fronte a me, non ci sono che gli occhi, bulbi oculari piccini che mi guardano vispi.
Ed io come posso vederli, visto che le mie orbite sono vuote?
vorrà dire che non ti servono gli occhi per vederlo.
RispondiEliminaChe bei sogni fai, ho sempre avuto una curiosità particolare per i sogni. In questo periodo i miei sono molto confusi, ho come l'impressione, al risveglio, di averne fatti migliaia tutti sovrapposti, o aggrovigliati l'uno all'altro al punto da non ricordarne nessuno...
marinella
Ti capisco! In questi casi mi sforzo di ricordare, scrivere, raccontare o disegnare almeno un frammento, per quanto (apparentemente) insignificante dei sogni fatti: piano piano, nel corso dei giorni e delle notti, la matassa si dipana!
RispondiEliminasai che me li scrivo anch'io :D??
RispondiEliminaGrande!
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